L’istrice

                                                             L’Istrice

Dell’importanza del dialogo interiore

In certi momenti, quando ogni persona, situazione e fato sembrano accanirsi contro di me, in quei momenti in cui, in preda alla disperazione, perdo di mira la bussola, io vorrei trasformarmi in una mosca. Ma non in una mosca qualunque, impicciona e insolente. No, no! Desidero volare lontano per osservare con distacco emotivo il mondo dentro e intorno a me, per valutare nel migliore dei modi le soluzioni e strade da intraprendere.

Purtroppo, ciò non avviene mai. Impossibile entrare nell’intimo altrui quando il loro modo di rispondere e di agire non ci appartiene, poiché educazione e buon’animo pongono davanti a noi i cosiddetti freni inibitori.  E che dire, ci sono modi e modi, ahimè! Tanti quanti i freni e gli acceleratori.

Inutile dirlo, lo sanno tutti: non si possono premere e attivare tutte e due le leve di forza uguale e contraria in contemporanea, si annullano a vicenda, così come un istrice, pur con tutte le sue buone intenzioni – sicuramente più nobili di quelle di una mosca – non riuscirà mai a porgere una carezza con i suoi aculei.

Buone intenzioni, ho detto? Sì!

Chi sostiene che non se ne può fare il processo, chi afferma che sono quel che conta. Ma che diamine! E quando la propria natura procura danni? E a quel punto del mio monologo, pur nella più profonda confusione mentale, una certezza mi illumina: la mosca deve fare la mosca, e l’istrice l’istrice.

Sospiro, allento la tensione, una tensione che mi porto appresso niente meno che da quattordici anni, e che nelle ultime settimane mi è diventata insopportabile, insostenibile. Sono al punto di saturazione, infatti, decisa compilo e invio il modulo di richiesta di trasferimento, o meglio, di “disponibilità al cambiamento”.

Alt! Un attimo! Non sarà che per l’ennesima volta mi sto dando alla fuga dissociativa?

E anche se fosse?

In fondo è lecito difendersi, anche se ciò comporta rinunciare alla propria zona di confort. Di sicuro lavorare in un posto che dista solo cinque minuti a piedi da casa è un privilegio di pochi. Privilegio che mi ha portato non solo a una specie di omertà, ma anche a cecità di fronte alle ingiustizie, alla manipolazione, all’incapacità, alla cattiveria.

E già! È proprio vero che l’istrice deve fare l’istrice. Invece, ne conosco uno che fa l’infermiere. E a questo punto ogni mia certezza crolla, mentre la tensione emotiva e fisica aumentano in maniera esponenziale al pensiero che, in effetti, l’unica certezza che abbiamo è quella di non averne.

Cosa mi è girato in testa poi, quando ho bandito dalla mia vita le sigarette poco prima del lockdown? Contrariamente a ogni logica e razionalità, pur nella mia determinazione mi ritrovo con mille ripensamenti.

Per completare l’opera, pure la televisione si è fulminata. Non soffro di solitudine, anzi, temo di non poterne fare più a meno. Amo la mia autonomia, la mia indipendenza, ma amo decisamente di più figli e nipoti con i quali sono riuscita a riparare i logorati rapporti di un tempo. E mi mancano, mi mancano da morire.

Per distrarmi, al posto della tv guardo il computer, mentre teneramente il mio gatto preferito – a dire il vero, l’unico che ho – mi fa compagnia sul divano. Osservo commossa il vecchio pavimento di casa, brilla come uno specchio. Mai come in questo periodo sono pulita e ordinata. E ciò è bene. L’igiene è determinante per evitare il contagio, perciò organizzo una sorta di filtro nell’entrata di casa mia… e soprattutto, evito ogni leccornia cucinata dall’istrice. Sull’aspetto non c’è che dire, decisamente invitante. Ma poi, davanti al suo piatto prelibato si interpongono varie immagini, non solo sul suo scorretto operato, ma anche di quei gesti schifosi che compie in preda – penso, credo – al nervosismo. È inutile sperare in una sua presa di coscienza di quanto sia nauseante. Soltanto l’istinto prevale nel suo animo, ammesso e concesso che ne possieda uno. Per l’istrice esiste soltanto il tornaconto.

Perciò mi pongo una domanda: cosa farà quando è da solo, se non si vergogna di strombettare i suoi gas intestinali e mettersi le dita nel naso quando è in compagnia? Ma a quel punto non mi può fregar de meno e la mia risposta ai suoi insistenti inviti di assaggiare, giorno dopo giorno, è “No! Grazie!”, anche se ciò comporta il fatto, con manovre subdole, di costringermi ad allontanarmi dalla cucina. L’istrice è istrice, e in quanto tale possiede un ottimo istinto da bestia nel cogliere anche il rifiuto più velato e comportarsi di conseguenza, cioè al massimo della bastardaggine dei suoi aculei e dei suoi artigli che punta feroce su chiunque sospetti voglia addentrarsi in quel che ritiene, stupidamente, il suo esclusivo territorio. È così che il luogo di lavoro è diventato la proboscide di casa sua. D’altra parte, sempre un istrice è.

Non sono superstiziosa, ma credo che il male esista quanto il bene, così come il giorno e la notte, la luce e l’oscurità, la vita e la morte. Sento che più cerco di dare il meglio, più ho la sensazione di essere una specie di calamita per i guai, che chiaramente non mi lasciano indifferente, colpendomi nel vivo e togliendomi quindi la serenità, la pace e le energie acquisite. E viceversa, più cattiveria percepisco nell’aria, più cerco di profumare di bontà.

Nonostante ciò, e anche se il malessere che provo sia di solito breve, una sorta di frattura si interpone tra me e il mondo. E cosa scopro? Che sempre l’istrice disegna in maniera camuffata strani segni tipo croci e bambole vudù.

Adesso è veramente troppo. È proprio vero che nel momento della difficoltà e del bisogno ognuno si dimostra quel che veramente è… Maledizione! Con tutte le brave persone che sono state contagiate dal coronavirus…!

Mah, un momento… e io? Io cosa sono? Me lo chiedo inorridita di fronte ai miei pensieri.

E a quel punto, mentre entro nel cuore di casa mia, chiudendo bene a chiave la porta per impedire che il primo o l’ultimo che passa possa entrare e distruggermela, mi domando e dico: ma, al di là del deplorevole comportamento altrui, tu cosa vuoi dare agli altri? Il buono e il meglio di te, o le reazioni incontrollate di una bestia? Rammenta chi sei! L’hai forse dimenticato? Vuoi essere te stessa o il prodotto dell’incongruenza altrui? Vuoi reagire o agire? Vuoi difenderti o fuggire dal male, oppure promuovere il bene? Il male non si combatte col male!

Sto per iniziare le mie abluzioni quando all’improvviso squilla il cellulare… mi chiamano dalla Direzione…

Oddio! Avrò mica combinato qualche guaio di cui non mene sono accorta???

E già! Non per essere insicura o negativa, ma finché tutto fila liscio, anche se vai oltre il dovuto, difficilmente ti considerano. Meglio così, è dignitoso dare senza che ti venga richiesto e soprattutto senza aspettarsi nulla in cambio.

«La chiamiamo per la sua domanda di trasferimento, volevamo informarla che si è liberato il posto in Malattie Infettive come da lei richiesto…».

E sospiro, mentre il cuore che batte forte mi riporta alla realtà: non occorre viaggiare in capo al mondo per dare il meglio di sé. È ora di combattere! E ringrazio.

Chi? La Direzione?

No, no! L’istrice!

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